In parlamento
Farmaci veterinari, in Parlamento due ddl per autorizzare i «generici»
di Ernesto Diffidenti
Un farmaco generico anche per gli animali. Lo richiede a gran voce chi possiede un cane o un gatto o qualunque altro animale da affezione. Ma anche i veterinari che devono fare i conti con vincoli sempre più stretti. Il motivo è semplice: abbassare il costo di pillole e antibiotici che anche a parità di principi attivi costano molto di più di quelli destinati a curare l’uomo assicurando le cure migliori agli amici a quattro zampe.
Il pressing dell’opinione pubblica cresce e giovedì prossimo il Senato ha calendarizzato l’avvio dell’esame di due disegni di legge: il primo d’iniziativa del senatore Antonio De Poli (Area popolare), l’altro messo a punto dalle senatrici del Pd Silvana Amati, Monica Cirinnà e Manuela Granaiola. Ma sul tema si deve registrare anche una interrogazione del Movimento 5 Stelle.
L’introduzione del “generico” non porterebbe vantaggi solo alle famiglie ma, secondo i parlamentari, anche allo Stato, alle regioni, alle province e ai comuni che devono sopportare ingenti spese per il mantenimento in salute di tutti gli animali d’affezione ricoverati nei canili e nei gattili, nei rifugi sanitari pubblici e nelle strutture soggette a contributi pubblici. «Secondo le ultime stime - spiegano - i canili presenti nel territorio nazionale sono circa 400 e ospitano mediamente 700.000 cani randagi, con una spesa di circa 7 milioni di euro al giorno, destinata essenzialmente alla cura delle patologie in atto e al controllo delle zooantroponosi pericolose per la salute dell’uomo».
Sul tema si discute da tempo ma fino ad oggi non è stato mai possibile cambiare rotta: così non è stato possibile introdurre sul mercato prodotti equivalenti con un prezzo inferiore di almeno il 20% rispetto a quello del prodotto innovatore (così recita la norma prevista per i medicinale ad uso umano). Mentre i farmaci per gli animali domestici continuano a rincarare arrivando a costare anche il triplo.
Il ministero della Salute ha provato a spiegare il perché di questo trend che accumuna tutti i paesi europei. «I medicinali veterinari - spiega il ministero - non sono rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale e dunque non è prevista l’attività di contrattazione tra Aifa e industria». Inoltre, sul prezzo del medicinale veterinario, regolato dal mercato, incidono aspetti produttivi, commerciali e distributivi che rivestono un ruolo rilevante nella sua definizione. «Occorre infatti che ogni principio attivo sia studiato sulla specie animale a cui è destinato - aggiunge il ministero - con indicazioni e posologie accuratamente sperimentate per ognuna di esse, tenuto conto dei diversi metabolismi e di conseguenza, della differente farmacodinamica e farmacocinetica». Tutto questo, conclude il ministero «ha una rilevanza enorme sul prezzo finale». Ma qualcosa si può fare, secondo la Salute: «Rendere più dinamico il mercato del farmaco veterinario, da un lato e promuovere un impiego sempre più razionale e consapevole, dall’altro, potrebbe contribuire indirettamente a raggiungere l’obiettivo».
Anche l’Unione europea sta provando a correggere il tiro ma i tempi si annunciano lunghi. Presso il Consiglio dell’Unione europea, infatti, è attualmente in discussione una nuova proposta di Regolamento dei farmaci veterinari che mira anche a rendere reperibile nella Ue un numero maggiore di medicinali per curare e prevenire le malattie degli animali. Le semplificazioni previste per le procedure di autorizzazione dovrebbero portare ad una maggiore disponibilità e, di conseguenza, favorire la riduzione dei prezzi.
Il Parlamento italiano, invece, prova ad accelerare per cambiare una norma del 2006 (Dl 193) che dispone l’obbligo per il medico veterinario, di prescrivere e di utilizzare sugli animali in cura, solo il farmaco registrato in medicina veterinaria. Insomma, l’obiettivo è rimuovere lo stop all’utilizzo della miglior molecola attiva al momento che potrebbe curare al meglio gli amici a quattro zampe e contemporaneamente alleggerire l’esborso ai proprietari e allo Stato.
I veterinari sono in allerta. Se esiste il farmaco ad uso veterinario, infatti, il veterinario è obbligato a prescrivere quello ad uso veterinario (pena salatissime multe). Solo nel caso in cui il veterinario si accorga che un farmaco ad uso veterinario non funziona su quel pet e non esistano alternative veterinarie, allora in deroga può prescrivere i corrispondenti ad uso umano. Ma deve fare segnalazione alla farmacovigilanza che quel farmaco in quel cane non ha funzionato e seguire le indicazioni del caso. Un iter molto complesso.
Secondo la Fnovi (Federazione degli Ordini) «il medico veterinario è lasciato solo, a valle, a subire gli interessi di una filiera che tuttavia non risponderà, all’utente finale, in termini né di ragioni economiche né emotive delegando a lui di difendere le ragioni di tutti salvo le proprie, quelle del suo paziente e del suo cliente». Per questo guardano con favore allo sviluppo dei farmaci generici veterinari, con etichettatura evidente e prezzo vantaggioso rispetto a quello dei prodotti presenti, chiedendo anche una campagna di informazione verso farmacisti e proprietari che promuova il farmaco veterinario e contrasti l’automedicazione, un impegno per lo sviluppo di confezioni monodose che eviti lo spreco per scadenza dei termini di utilizzo, con conseguente aumento del costo; di prevedere l’Iva agevolata al 10% anche per le prestazioni medico veterinarie.
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